Il piccolo cadavere è stato recuperato dalla ong Sea-Watch venerdì scorso a largo della Libia, subito dopo che un barcone di legno era affondato con 45 persone a bordo. «Sembrava una bambola, con le braccia tese», ha raccontato il soccorritore.
«L’ho preso in braccio per proteggerlo, come se fosse ancora vivo, con i suoi occhi luminosi e amichevoli, ma immobili», ha continuato nel suo racconto l’uomo, padre di tre figli che ha detto chiamarsi Martin. «Ho cominciato a cantare per trovare conforto e dare un senso a questo incomprensibile e straziante momento», perché «fino a qualche ora fa il bambino era vivo».
I numeri dell’Onu sulle tragedie del mare sono impietosi e confermano che quella appena conclusa è stata una delle peggiori settimane di sempre: tre naufragi, 65 corpi recuperati, 700 dispersi, almeno 40 dei quali bimbi.
Una strage nella strage, quella dei più piccoli, che l’Unicef chiama «genocidio» e che era stata documentata in un altra foto che lo scorso ottobre aveva fatto il giro del mondo: quella di Aylan, bambino siriano di tre anni trovato morto su una spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, con la faccia in giù, appena lambito dall’acqua, le braccia abbandonate, ancora vestito.
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