I quindicimila dipendenti dell’Ilva possono intravedere la luce in fondo al tunnel. La situazione nelle fabbriche ancora non è tornata alla normalità, dopo i blocchi dei camionisti che hanno fatto mancare materie prime alle fabbriche e rallentato le consegne ai clienti. Il ritmo della produzione, specie a Taranto, ancora non è tornato a regime. Il fatto che ieri gli autotrasportatori tarantini abbiano denunciato di «non aver visto ancora un euro» nonostante la firma dell’accordo fa temere il peggio dietro la minaccia «aspettiamo sino a giovedì, poi decideremo che fare». La buona notizia è che il direttore genere Massimo Rosini e il suo staff composto da dirigenti delle direzioni centrali stanno per ultimare il nuovo piano industriale, che sarà reso pubblico «tra qualche settimana», rivelano fonti qualificate al Secolo XIX, «dopo che sarà stato valutato dai tre commissari». Sarà un piano industriale «di transizione» destinato a traghettare l’Ilva dalla gestione commissariale alla newco, ma è comunque un passaggio fondamentale per rimettere in carreggiata l’azienda.
Per Genova arrivano segnali positivi. Dalla prossima settimana, salvo ritardi, rientra in funzione una linea di banda stagnata, lavorazione che produce la latta per l’industria alimentare italiana - conserve di pomodoro, tonno, tappi per bottiglie - un mercato che Ilva ha perso a favore di ThyssenKrupp e ArcelorMittel e che intende riconquistare. Il piano prevede di iniziare con una produzione annua di 80mila tonnellate, che permetteranno di riportare in fabbrica 110 operai, ma l’obiettivo è crescere: «Contiamo di riconquistare la quota di mercato persa - dice la fonte - il commerciale sta lavorando». Armando Palombo, Fiom di Genova, è cauto: «Un segnale positivo che però non basta. La sola produzione nazionale di banda stagnata è quella di Cornigliano, l’azienda deve investire in nuovi impianti».
Taranto invece si prepara a posizionarsi su una produzione ridotta a 16-17mila tonnellate al giorno di ghisa per i prossimi 12 mesi almeno. Giovedì inizierà lo spegnimento di afo 5, il più grande degli altoforni, impianto che deve essere sottoposto a rifacimento nel rispetto delle prescrizioni ambientali Aia. L’afo 1 non si rimetterà in moto prima di agosto (in questo lasso le tonnellate/giorno scendono a 11mila), anche se fonti dicono che tecnicamente potrebbe, volendo, essere riacceso anche a maggio-giugno. La riduzione delle quantità è funzionale agli interventi di ambientalizzazione imposti dall’Aia, ma segue anche l’onda di un mercato che soffre di sovracapacità produttiva. Delle due acciaierie basterà tenerne in funzione una (la 2). A preoccupare i lavoratori pugliesi non è il fermo temporaneo degli impianti, indispensabile se si vuole fare di Taranto uno stabilimento a norma di legge, bensì la qualità del prodotto, compromessa da settimane di mancate forniture e manutenzioni.
«Occorre che - osservano Vincenzo Vestita e Stefano Leopardi, entrambi Fiom nello stabilimento di Taranto - si rendano disponibili i 156 milioni di Fintecna e i 400 milioni di prestito garantito». Il sindacato racconta che negli ultimi mesi rispettare gli standard qualitativi è diventato un’avventura impossibile: «A singhiozzo manca tutto, le ferroleghe per fare l’acciaio, i materiali refrattari, i bulloni per gli impianti. - spiegano Vestita e Leopardi - Anche i tempi della colata continua, in questo modo, vengono compromessi. Praticamente si lavorava alla giornata e ancora adesso non abbiamo ripreso il passo. E se vuoi fare prodotto di qualità il passo va ripreso. Subito».
themeditelegraph
0 commenti:
Posta un commento