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martedì 10 marzo 2015

Cassinelli, il genovese che guida l’espansione di Singapore a Panama

Da spedizioniere a uomo-chiave della scommessa di Psa: «Nessuno ha la stessa passione per il lavoro che abbiamo noi sotto la Lanterna».

Da themeditelegraph:

Nel ’500, il porto di Panama fu gestito da genovesi su concessione spagnola. Oggi la città è uno snodo centrale delle rotte marittime: 5 milioni di teu vengono movimentati ogni anno nelle attività di trasbordo del Canale. Qui i maggiori terminalisti del globo si danno battaglia, e la sfida più impegnativa - il lancio del terminal Psa - è da ottobre in capo al genovese Alessandro Cassinelli, 37 anni, papà di Mattia, Emma e un terzo (o terza) in arrivo , General Manager del Ppit, Psa Panama International Terminal. Genoano di Sampierdarena, diploma al Fermi, figlio di spedizionieri, formato in porto: spedizioniere doganale, agente marittimo dei Cosulich. Nel 2001 è a New York, Line Manager per Msc. Poi il trasferimento a Houston: conosce Martina, ligure di Camogli che diventerà sua moglie e mamma della seconda figlia. Nel 2005 il ritorno a Genova, in Psa, responsabile commerciale di Voltri-Pra’. Lo scorso anno, nuovo cambio di marcia: a Singapore per formazione, poi il dossier Panama: 130 dipendenti, 450 mila teu, con un piano di espansione autorizzato a gennaio. Obiettivo 2 milioni di teu a fine 2016, in concomitanza dell’apertura del Canale raddoppiato; lavoro per oltre 1.000 persone nella fase dei lavori.

Non una missione facile.

«Il terminal è nato nel 2010, ma ha cominciato a movimentare traffici container nel 2012. È stato difficile avviare l’attività: dovevamo convincere le compagnie a scalare un terminal che rispetto al resto del porto, si trova dall’altra parte del Canale: 200 metri, ma che fanno la differenza. Ora le compagnie stanno arrivando: Hamburg Sud, Seaboard, Msc in questi giorni. Adesso abbiamo la certezza degli investimenti sulle infrastrutture e per la nostra espansione manca la firma del cda della Authority del Canale».

A cosa serve un terminal all’imbocco del Canale?

«Con l’ampliamento non ancora ultimato, parte del trasbordo container non avviene da nave a nave, ma da nave a camion. Visto l’aumento dei traffici, insieme alla via d’acqua sono molti i container che viaggiano via terra, per raggiungere la sponda Atlantica. In questo periodo il transhipment via terra ha preso molto più piede di quello via mare».

Col nuovo Canale qual è la vostra funzione?

«Panama è al centro di una croce, i punti cardinali sono le estremità. Il traffico si muove sempre sui due assi, via terra e via mare. Panama è il punto di interscambio».

Oggi si parla di navi da 24 mila teu, l’ampliamento del Canale rimane competitivo?

«Si dice “Panamax” la nave più grande che può passare per il Canale, capacità circa 5.000 teu. Dal 2016, passeranno navi fino a 14 mila teu. Il governo sta pensando di allargare ancora di più la struttura, che rimane sempre competitiva. Certo è difficile, per chi pianifica lavori pubblici stare dietro al gigantismo navale. Ma non dimentichiamo che sono comunque le infrastrutture a determinare il successo di queste scelte. Personalmente, quando penso a una portacontainer da 24 mila mi vengono i brividi. Quanto si svilupperà ancora questo gigantismo? La lezione delle mega-petroliere degli anni ’70 andrebbe ricordata».

Cosa possono insegnare i genovesi al mondo.

«Genova è la città che mi ha dato tutto. Da nessuna parte ho visto una passione uguale per il lavoro. Non parlo solo dei manager, ma anche del personale in banchina, dei camalli. Ovunque sia andato, ho avuto colleghi e dipendenti che a un certo punto hanno deciso di licenziarsi, per andare a fare un altro lavoro: Vodafone, Carrefour… A Genova non conosco nemmeno un caso. Chi è nel marittimo, magari cambia lavoro, ma rimane sempre nel settore».

Dove tornerebbe?

«Beh, New York ha un suo perché. A 23 anni poi, direi che New York ha più di un perché. Anche se ogni posto ha le sue ragioni».

E tornerebbe a Genova?

«L’obiettivo è tornare, con tutta la famiglia, che ha sempre viaggiato con me. Anche se ancora un’esperienza all’estero non mi dispiacerebbe».

Dove?

«Nord Europa. Dove un po’ come negli Stati Uniti o a Singapore si condivide la capacità di fare le cose rapidamente».


themeditelegraph

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